sabato 17 dicembre 2011

IO, IN UNO DEI MIEI LIBRI


"Bèh?" ringhia il mio editore, inondandomi dell’odore intenso di sigaretta.
Ora sì che vorrei essere da un’altra parte. In uno dei miei libri magari, ma certo lontano da qui. Aspettavo questo momento
da un po’. Va bene, diciamo che una parte di me non aspettava altro. Eppure adesso mi piacerebbe fuggire, mollare ogni
cosa. Sembrava tutto molto più semplice qualche settimana fa, quando riversavo su quei fogli bianchi tutto me stesso.
 E intanto speravo.
Mi offre una sigaretta, col suo fare sfrontato, sicuro. Inizio a fumare; forse il fumo nasconderà le mie insicurezze.
"Hai perso la lingua? E’ da un po’ che aspetto qualche spiegazione. Me la devi credo…" incalza Giulio, accendendosi la seconda sigaretta.
Qualche spiegazione… non so da dove cominciare. Mi passo una mano fra i capelli, per prendere tempo. Lo guardo e mi sento morire. Ho scritto per settimane, quasi senza sosta. Per lui. Per noi. Basta, devo parlare. Questo non è un libro, è la mia vita.
"Pensavo che fosse tutto chiaro…" dico allora, cercando di apparire tranquillo.
"Pietro, sei fuori?"
"Credevo che avessi capito, che mi avessi compreso…" continuo io, col cuore che batte all’impazzata.
"Che avessi capito?" Giulio si stava alterando "Che avessi capito cosa, esattamente? Ti avevo chiesto una storia per bambini e tu che fai? Mi presenti un romanzetto in cui uno scrittore gay ama alla follia il suo editore? Lo sai, Pietro, mi è sempre piaciuto il tuo piglio, il tuo stile un po’ anticonvenzionale e ti ho sempre lasciato abbastanza libero. Ma ora no. Ora è troppo. Non è quello che volevo".
Mi sento morire. Ho scritto non so quante pagine, ci ho messo dentro ciò che provo in quel “romanzetto”. Erano mesi che volevo farlo. Sputare il rospo. Un rospo per il quale ormai non vivevo più, che era diventato troppo pesante. E lui non ha capito. Non ha capito nulla. Forse dovrei provare sollievo. Invece vorrei avere la forza di parlargli, di dirgli quanto lo amo. Oppure fondermi col foglio, con quel foglio che Giulio tiene fra le mani, quel foglio in cui ho riversato tutti i miei sentimenti per lui. Poi, dopo un tempo che davvero non so definire, lo sento ridere. Quante volte ho sentito quella risata. E l’ho amata.
"Pietro!" mi chiama. Sollevo la testa e lo guardo, ma non dico nulla. Sono decisamente più bravo a scrivere che a parlare.
"Pietro, su col morale! Non ti sto mandando via! Sei un talento e non ti lascerò sfuggire. Perciò ora torna a casa e scrivi quello che ti ho chiesto. Prenditi il tempo che vuoi. Ci risentiamo quando avrai finito".
"D’accordo" faccio io, di rimando.
Poi mi alzo, spengo la sigaretta nel posacenere e saluto. Mi chiudo la porta alle spalle. Non so se mai la riaprirò. E’ pericoloso fondersi col foglio.

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